Regolamento assembleare e regolamento contrattuale

21.05.2016 17:35

Su queste colonne spesso, parlando di condominio, si è fatto riferimento ai regolamenti assembleari e a quelli contrattuali, e, in particolare, alla loro differente incidenza sulla vita condominiale. Per maggior chiarezza espositiva si ritiene il caso, pertanto, di ricapitolare di seguito, sulla base di quanto osservato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, le peculiarità di questi due tipi di regolamento.

In proposito occorre anzitutto sottolineare che il regolamento assembleare – ai sensi dell’art. 1136, secondo comma c.c. (norma espressamente richiamata dall’art. 1138, terzo comma, c.c.) – è approvato, sia in prima sia in seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell’edificio (fermi i quorum costitutivi di cui al primo e terzo comma dello stesso art. 1136 c.c.). Inoltre, che questo tipo di regolamento – per giurisprudenza consolidata – non può incidere sui diritti dominicali (cioè, sui diritti proprietari) dei singoli condòmini (cfr., fra le altre, Cass. sent. n. 1195 del 6.2.’87). Diversamente, il regolamento contrattuale è un regolamento formato con il consenso unanime di tutti i condòmini (anche in assemblea) ovvero predisposto dal costruttore e accettato dagli stessi condòmini nei loro atti di acquisto. A differenza di quello assembleare, può contenere – secondo la giurisprudenza – limitazioni ai poteri dei condòmini e ai loro diritti sui beni comuni o individuali (cfr., ancora, Cass. sent. n. 1195/’87).

In materia va altresì evidenziato che le clausole dei regolamenti contrattuali hanno natura convenzionale – secondo pacifico orientamento della giurisprudenza (cfr. Cass. sez. un. sent. n. 943 del 30.12.’99) – soltanto qualora si tratti di pattuizioni limitatrici dei diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni, ovvero attributive ad alcuni condòmini di maggiori diritti rispetto ad altri; diversamente, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, esse vanno considerate di natura regolamentare. Ciò significa che clausole di quest’ultimo tipo, ancorché inserite in un regolamento contrattuale, non necessitano – per essere modificate – del consenso totalitario dei condòmini. Allo scopo, quindi, è sufficiente una semplice delibera adottata con la maggioranza prescritta dal citato art. 1136, secondo comma, c.c. (norma – come abbiamo detto – richiamata dall’art. 1138, terzo comma, c.c. in tema di approvazione e modifica del regolamento di condominio).

In ogni caso occorre tener presente che qualsiasi tipo di regolamento, e quindi anche quello di natura contrattuale, non può derogare – a norma dell’art. 1138, quarto comma, c.c. e dell’art. 72 disp. att. c.c. – a determinate previsioni contenute nel codice civile (artt. 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136, 1137) e nelle sue disposizioni di attuazione (artt. 63, 66, 67, 69). Inoltre, che – come chiarito dalla giurisprudenza – affinché un regolamento contrattuale, con le limitazioni in esso previste, sia vincolante per i successivi acquirenti di un’unità immobiliare in condominio, deve essere o richiamato nei singoli atti di acquisto (cfr. Cass. sent. n. 26010 del 14.4.’83) o trascritto presso i Servizi di pubblicità immobiliare (ex Conservatorie dei registri immobiliari) dell’Agenzia delle entrate (cfr. Cass. 13164 del 25.10.’01).

Rinviando a quanto scritto su Cn di settembre 2013 per la particolare questione del divieto di detenere animali domestici – e precisato che le norme non inderogabili hanno semplice natura suppletiva rispetto al regolamento di condominio (cfr. C. Sforza Fogliani, Codice del nuovo condominio dopo la riforma, ed. La Tribuna, II edizione, 2014, 184) – resta solo da aggiungere, in argomento, che, se impugnato a norma dell’art. 1107 c.c. (in applicazione del più volte citato art. 1138 c.c.), il regolamento (come qualsiasi sua modifica, tanto più se essenziale, deve ritenersi) è nella sua applicazione automaticamente sospeso fino alla pronuncia (definitiva, deve pure ritenersi) del giudice (cfr. C. Sforza Fogliani, ut., 60). Inoltre, nel caso in cui i condòmini siano più di dieci e l’assemblea non voglia o non possa approvare il regolamento sottoposto al suo esame, ogni condomino interessato potrà senz’altro investire della questione l’autorità giudiziaria.